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Le 4 mostre "Made in Italy" che cambiarono la storia dell'arte.

di Antonella Spanu


Nel segno di REA! Art Fair, che avrà luogo nella grande metropoli di Milano questo autunno, vogliamo andare a scoprire altre quattro mostre realizzate in Italia e che cambiarono la percezione dell'arte contemporanea ispirando nuove ere e processi artistici:


1931. La Prima Quadriennale d'arte a Roma, Palazzo delle Esposizioni



E' il 5 Gennaio 1931, alla presenza dei sovrani, il re Vittorio Emanuele III e la regina Elena. Due giorni prima, Mussolini aveva partecipato al vernissage, alla presenza degli artisti. Il Palazzo delle Esposizioni, bellissimo nel suo restauro, è decorato dall'allestimento di Pietro Aschieri e Enrico Del Debbio. Gli espositori della mostra sono circa 500 e il focus viene puntato sugli artisti. La regia della mostra è affidata a Cipriano Efisio Oppo, segretario generale della Quadriennale che guiderà le prime quattro edizioni della mostra romana dal 1931 al 1943. Mentre la commissione è formata da Oppo, Carrà, Dazzi, Sarfatti, Soffici, Amato, oltre che da San Martino, il cui compito è quello di selezionare gli artisti e affidargli i propri spazi personali.


Troviamo 10 sale dedicate agli artisti viventi: Amerigo Bartoli, Felice Carena, Carlo Carrà, Felice Casorati, Ferruccio Ferrazzi, Romano Romanelli, Mario Sironi, Carlo Socrate, Ardengo Soffici, Arturo Tosi; due ad Armando Spadini e Medardo Rosso, scomparsi rispettivamente nel 1925 e nel 1928; infine Agli accademici d’Italia Giulio Aristide Sartorio, Adolfo Wildt, Antonio Mancini e Pietro Canonica sono assegnate due grandi sale. In dieci giorni di lavoro, al Palazzo delle Esposizioni sono visionate 1562 opere di pittura, 306 di scultura, 121 di bianco e nero. Ne sarà accettato solo il 21%. In una polemica generale verrà escluso Giorgio De Chirico. Questo perché il criterio di selezione premia più la qualità che la fama. Rivolgendosi direttamente a Mussolini, Filippo Tommaso Marinetti riesce a ottenere una deroga. Così ai futuristi viene dedicata una sala con le opere di Balla, Benedetta, Depero, Dottori, Fillia, Munari, Prampolini, Tato, Thayaht. Il Duce, avrà voce in capitolo sul futuro della mostra e a cinque giorni dall'apertura dichiara che lo Stato non deve c'entrare con l'arte, poiché essa appartiene all'individuo, mentre lo Stato ha l'unico dovere di non sabotarla, ma sostenerla. L’incoraggiamento è concreto, i premi in denaro andranno ad Arturo Tosi per la pittura e Arturo Martini per la scultura. Settantotto sono le opere che vengono acquistate per la Galleria d’Arte Moderna del Governatorato di Roma, mentre altre 322 vengono vendute a personaggi come Mondadori e lo stesso Re. La mostra è un tale successo che proseguirà negli Stati Uniti, a Baltimora, Cleveland e Syracuse.



 

1933. V Triennale Internazionale delle arti decorative e industriali al Palazzo dell'arte di Milano



Nel 1933 viene inaugurata la nuova Triennale di Milano nella nuova sede che ancora oggi possiamo ammirare, progettata da Giovanni Muzio a Parco Sempione. La protagonista di questa Triennale è l'architettura mentre la mostra delle arti decorative vede partecipare un buon numero di espositori stranieri. Il Palazzo viene riempito da interventi murali e opere di Massimo Campigli, Carlo Carrà, Felice Casorati, Giorgio De Chirico, Achille Funi, coordinati da Mario Sironi. Dall'altro lato del Palazzo, il rapporto col Parco inizia ad essere solido, specie nelle successive edizioni, in cui vengono realizzate quaranta costruzioni temporanee (di carattere sperimentale), tra cui le case della grande Mostra dell’abitazione progettate da numerosi architetti italiani tra cui Figini e Pollini, Giuseppe Terragni, Piero Portaluppi, il gruppo B.B.P.R., Piero Bottoni. La mostra diventa, quindi, essenza e rappresentazione dell'architettura europea e del razionalismo italiano riconosciuto dal fascismo come avanguardia tecnica e culturale del processo di modernizzazione nazionale. Contemporaneamente di fianco al Palazzo dell’Arte viene costruita la torre littoria (oggi torre Branca) progettata da Gio Ponti e Cesare Chiodi. Inoltre, per questa edizione viene istituita l'Orchestra sinfonica della Triennale, la quale tiene concerti sia nel giardino che nel Teatro dell'Arte, sito al -1. La Triennale è tutt'oggi luogo dell'esposizione universale e dimora di scambi, cultura e sperimentazione.



 

1948. XXIV Biennale di Venezia : La collezione Peggy Guggenheim a Venezia



Sappiamo che la prima Biennale fu nel 1895 e ulteriormente famosa fu quella che venne più di Cinquanta anni dopo. La partecipazione di Peggy Guggenheim alla Biennale di Venezia del 1948 (6 giugno–30 settembre 1948) fu un evento epocale. Non solo fu la prima esposizione di una ricchissima collezione di arte moderna in Italia, dopo due decenni di regime dittatoriale, ma anche la prima presentazione della sua collezione in Europa al termine della Seconda guerra mondiale, quando Peggy chiuse la galleria "Art of This Century" (1942–47) a New York e si trasferisce a Venezia. La collezione viene esposta nel Padiglione delle Grecia, la partecipazione di quest'ultima, nonostante la guerra civile, avviene su proposta del Segretario generale della Biennale Rodolfo Pallucchini. La sua collezione offriva una panoramica sull'arte contemporanea, come il Cubismo, il Futurismo, l’astrazione, il Surrealismo e soprattutto l’Espressionismo astratto americano. Diversamente dal padiglione italiano, ancora dominato da Impressionismo e Post impressionismo. Il Padiglione viene progettato dall'architetto veneziano Carlo Scarpa, il quale riuscì ad accostare il dialogo alle particolarità geometriche esposte. Tra i grandi artisti che fecero il loro debutto in Europa troviamo: Jackson Pollock, William Baziotes, Mark Rothko e Clyfford Still, usciti dal suolo americano. L'ingresso al Padiglione è inoltre caratterizzato da un cartello disegnato da Scarpa che riporta il nome “Collezione Peggy Guggenheim”.



 

1967. Arte Povera, Genova Galleria La Bertesca



Negli anni 60, uno dei movimenti artistici italiani che nacque in risposta alla pittura astratta modernista e che incendiava l'Europa, fu quello dell'Arte Povera. Il movimento nasce nel 1967, con una mostra alla Galleria La Bertesca di Genova. Gli artisti raccolti in questa mostra, si ribellarono al predominio della Pop Art e dei sui tantissimi e costosi materiali per privilegiare materiali poveri. Gli artisti furono riuniti dal critico Germano Celant. È lui a coniare il nome che rimanda alle esperienze del Teatro Povero del polacco Grotowski. "Abbiamo, per la prima volta in Italia, messo insieme sette città e sei musei, presentiamo 250 opere su una superficie complessiva di 15 mila metri quadri" afferma Celant.

I materiali utilizzati dagli artisti sono di vario tipo: dal ferro agli stracci, dalla terra alla carta, dal vetro al neon e così via, il loro obiettivo è dimostrare che si possa fare arte anche con materiali poveri. «Capii che ce l’avevamo fatta quando la critica accademica romana rifiutò e boicottò, nel 1968, la mia mostra “Azioni povere” ad Amalfi» disse Celant. Tra i diversi artisti ritroviamo: Giovanni Anselmo, Pier Paolo Calzolari, Jannis Kounellis, Marisa Merz, Giulio Paolini, Giuseppe Penone, Michelangelo Pistoletto, Emilio Prini e Gilberto Zorio. Secondo Celant, i poveristi anticiparono il rapporto con il "mondo conosciuto", come ad esempio Boetti e i suoi viaggi in Afghanistan, infatti i suoi arazzi sono tra le opere più conosciute per gli artisti locali.

Per Celant e per il movimento, una delle caratteristiche più importanti era la democratizzazione dell'arte, che ancora oggi ha valore. Purtroppo però, la mostra non sarà inserita e riconosciuta a livello politico, infatti non appare neppure nel cartellone delle celebrazioni di Italia 150.


 

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