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ReA! Flashback Friday with Eleonora Roaro

Updated: Jun 18, 2023

È fondamentale indagare la nostra identità (o la sua crisi):

non parlo in termini emotivi/emozionali, ma della necessità di concepirci

come esseri umani storicamente e culturalmente situati.






Come descriveresti la tua ricerca? E come pensi sia percepita rispetto alla scena artistica contemporanea?


Il mio non è un lavoro immediato: la componente di ricerca ha un peso specifico molto importante e difatti non è un caso che, negli ultimi anni, la mia connessione con il mondo accademico sia stata sempre più determinante (prima con l’Università degli Studi di Udine e ora con NABA, Milano).

Sono per natura eclettica e curiosa, per cui non c’è un unico tema rintracciabile all’interno della mia produzione, il che rende spesso difficile inquadrare quello che faccio, che poi non è questo un cliché modernista di cui fatichiamo a liberarci, ovvero la riconoscibilità immediata dell’artista? Inoltre il mio medium d’elezione è il video, ed è inutile ribadire che – almeno in questa fase di carriera – sia poco vendibile.



Hai parlato di riconoscibilità dell’artista, cosa pensi di questo stigma e del mito del successo nel mondo artistico?


Penso che dovremmo normalizzare la narrazione legata al concetto di ‘successo’: spesso non vengono mostrate o raccontate le difficoltà che ciascun artista vive quotidianamente e si creano aspettative distorte, quando non totalmente irrealistiche, che generano frustrazione e inutile competizione. Dietro a ogni successo ci sono, come nel mio caso, molti fallimenti, problemi, strade interrotte: la difficoltà di sostentarsi con questo lavoro (nonché far capire che sì, è un lavoro tout court), il tempo investito nello scrivere progetti o nel partecipare a bandi che si sono rivelati un buco nell’acqua, le promesse non mantenute di tant* addett* ai lavori. Aggiungo, soprattutto nell’ultimo periodo, l’avere sempre poco tempo da dedicare alla produzione e il burnout che deriva da dover gestire ogni aspetto del lavoro con rari momenti di pausa.



E quale ritieni essere, invece, il lato di questo percorso che ti ha dato maggiore soddisfazione?

Per me il più grande successo, al di là dei premi vinti negli ultimi anni e delle mostre fatte, è quando persone con cui ho lavorato in passato mi ricontattano per dei nuovi progetti: non solo si cresce insieme, ma è anche una conferma concreta di aver lavorato bene, professionalmente e umanamente, cosa che vale di più di tante parole.


Eleonora Roaro durante le riprese del video Vanishing Point (2019), esposto nell’edizione 2020 di ReA! Fair



A proposito di legami e incontri professionali, quanto hanno inciso su come ti muovi e come rimani aggiornata sulle ultime novità di questo ambito in continuo movimento?


In generale è importantissimo avere una buona rete di collegh* e amic* con cui scambiarsi informazioni. Io per anni ho collaborato con diverse riviste del settore e quindi ho il vantaggio di ricevere decine di mail al giorno dai vari uffici stampa, oltre le varie newsletter (italiane e internazionali) a cui sono iscritta e le persone che seguo sui vari social media. Compatibilmente con gli impegni, cerco di andare a vedere più mostre possibili e non solo nella mia città.



Parlando invece della tua ricerca, ti piacerebbe raccontarci di un'esperienza artistica particolarmente importante per te?


A fine 2020, poco dopo REA!, sono stata tra le vincitrici del premio Cantica21, finanziato da MiC e MAECI, per la sezione Under35 con il progetto “FIAT 633NM” legato a un corpus di fotografie del mio bisnonno che lavorò come camionista nel 1937-38 in Eritrea ed Etiopia.

Questo riconoscimento mi ha permesso poi di realizzare due personali, una al CAMeC di La Spezia e una al Museo diffuso della Resistenza di Torino. In occasione di quest’ultima è stato pubblicato il mio primo catalogo monografico dal titolo “Scenografie coloniali. FIAT 633NM di Eleonora Roaro” con importanti approfondimenti sul tema del colonialismo italiano. Aggiungo, infine, una seconda importante esperienza ovvero l’incredibile mese di ricerca al MIT di Boston nel novembre 2021.



Mostra FIAT 633NM, CAMeC, La Spezia, 2021-22, (successiva) Eleonora Roaro, FIAT 633NM, video-monocanale, 2021.



E in futuro, su cosa ti piacerebbe lavorare?


Da quando ho iniziato la mia carriera artistica nel 2011 ho sempre sviscerato il tema ‘cinema’ da diversi angoli, dal progetto sugli zootropi all’indagine sulle architetture delle sale. Mi piacerebbe ora confrontarmi con il medium filmico in termini più ‘tradizionali’ realizzando un cortometraggio. Ho un’idea legata alla sceneggiatura “La Nebbiosa” (1963) di Pier Paolo Pasolini, che sarebbe per me un modo di tornare ad occuparmi anche della città di Milano.



Nell’eclettismo artistico che tu stessa incarni, come pensi che l’arte possa essere importante per la società?


Come forma di critica, di analisi, di riflessione sullo status quo. Come messa in dubbio del presente a partire da un’indagine sull’oggi, su ciò che siamo stati e su quello che saremo. Come possibilità di inglobare più punti di vista. Come uscita dall’antropocentrismo. Permette di pensare cose che non pensavamo pensabili.



REA QUESTION

Secondo la tua esperienza, quali sono i giusti ingredienti per una ricerca artistica sempre capace di rinnovarsi e crescere?


È fondamentale indagare la nostra identità (o la sua crisi): non parlo in termini emotivi/emozionali, ma della necessità di concepirci come esseri umani storicamente e culturalmente situati. Credo che il fulcro sia trovare ciò che è realmente nostro e cercare di dargli spazio e farlo crescere, senza però snaturarlo cercando di assecondare le mode del momento. È importante capire quali, tra le urgenze della nostra contemporaneità (etiche, estetiche, sociali…), ci risuonano davvero e non sono viziate da altre logiche.

Da un punto di vista più pratico: leggere e vedere il più possibile, e non solo argomenti legati all’arte contemporanea (anzi!).



Veduta dell’installazione Garibaldi 99 in occasione della mostra I luoghi che siamo, Casa degli Artisti, Milano (2021).


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