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ReA! Flashback Friday with Valentino Russo

Updated: Jun 18, 2023


uno spettacolo di cui lo spettatore si ritrova a far parte

attraverso le luci ed il gioco di specchi





Potresti parlarci del tuo lavoro e di cosa ti stai interessando, nello specifico, al momento?


Nel mio lavoro faccio uso di found footage, immagini, musica o frammenti audio presi da internet e dalla provenienza volutamente oscura. Ultimamente sono interessato al cosiddetto “Surveillance capitalism” e al concetto di alienazione. Negli ultimi anni ho cercato di rendere il mio lavoro sempre più riconoscibile e coerente.



Una tua recente fonte di ispirazione?


Qualche tempo fa ho scoperto il canale YouTube di un ragazzo americano che nel 2016 ha realizzato una serie di video mentre andava a mangiare fuori con i suoi amici o a fare shopping con la sua ragazza. Forse sognava di diventare virale ma dopo pochi video e pochissime visualizzazioni ha smesso di caricare i suoi vlog. Trovo i suoi video genuini ed ipnotici nel loro editing amatoriale. Il mio sogno sarebbe fare una personale con solo questi video, nella loro versione originale.



Come ti piacerebbe sperimentare in futuro nella tua ricerca? Cosa ti piacerebbe creare?


Vorrei integrare materiale girato da me di qualità quasi cinematografica, con attori e uno script, insieme ai found footage. Realizzare qualcosa di sempre più ibrido a livello di formati video e tecniche di ripresa.



Valentino Russo, mostra personale One Hundred Years of Solitude, 2022.

Intrarea Pictor N. Vermont, Residency program Bucharest AiR (RO)



Quale lato del presente cerchi di mettere in luce con i tuoi lavori?


Con il mio lavoro cerco di raccontare come il modo in cui facciamo conoscenza del mondo, instauriamo delle relazioni e decidiamo cosa è giusto e sbagliato per noi e per gli altri, è decisamente plasmato dalla nostra esperienza online. I social network sono reali, ma le possibilità di mistificazione sono infinite. Su internet vincono le semplificazioni, i “confirmation bias”, mentre la realtà è molto più complessa e trovare una chiave interpretativa universale può dimostrarsi un fallimento sul nascere.



La questione dell’interpretazione, e della sua complessità, è presente anche nella tua opera I am afraid to forget your face. Postresti parlarci di questo lavoro?


I am afraid to forget your face è una video-installazione che mette lo spettatore di fronte a una serie di volti, da quelli di personalità dei social a degli stickers 3D di avatar umanoidi (animoji), al proprio riflesso sul muro e sul pavimento.

Volti che si trasformano ad assumono espressioni grottesche, si deformano in deepfake surreali. Un flusso di individui senza una vera personalità, ma allo stesso tempo così al centro dell’attenzione da non poter essere ignorati. Un “blob” di individui famosi e sconosciuti allo stesso tempo, influenti ma irrilevanti, uno spettacolo di cui lo spettatore si ritrova a far parte attraverso le luci ed il gioco di specchi.



A proposito dell’ambiente artistico, qual è la tua esperienza oltre alla conduzione della tua ricerca personale?


Oltre a portare avanti la mia pratica artistica sono co-organizzatore di mostre in uno spazio espositivo indipendente a L’Aia, in Olanda. Lo spazio si chiama The Balcony e siamo attivi da 5 anni. Tramite The Balcony ho conosciuto molti “addetti ai lavori” (artisti, curatori, collezionisti ecc.) e soprattutto sono sempre alla ricerca di nuovi fondi e finanziamenti per i nostri progetti.


L’attuale esposizione a The Balcony si intitola The promise of ruin(s), The insicere charm of things. È stata inaugurata il 10 marzo in coincidenza con l’anniversario dei nostri 5 anni di attività e sarà visitabile fino al 6 maggio. In mostra lavori di Aline Bouvy, Marcel Broodthaers e Louis Randaxhe.



REA QUESTION

Secondo la tua esperienza, quali sono i giusti ingredienti per una ricerca artistica sempre capace di rinnovarsi e crescere?


Penso sia importante avere chiaro dove si vuole arrivare con il proprio lavoro e trovare il modo di comunicarlo al meglio. Avere familiarità e conoscere le possibilità del medium che si utilizza ed essere in grado di raccontare quello che si ha più a cuore.



Valentino Russo, Black Box Society, 2021.


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